Abbiamo avuto in cura migliaia di pazienti portatori di ernia discale sia del tratto lombare che del tratto cervicale e dorsale (quest’ultime molto rare).
Tra tutte abbiamo studiato e raccolto in un’ampia documentazione, tutti i casi di ernia discale del tratto lombare, giunti alla nostra osservazione dal 1986 fino al 2000.
Le abbiamo suddivise in due gruppi:
L’indicazione per queste tipo di patologia ci pare infatti di grande interesse, oltre che per la importanza dei risultati raggiunti, anche per la molteplicità dei motivi che possono sconsigliare un secondo intervento per recidiva di ernia discale; per quanto concerne le recidive algiche da focolaio cicatriziale post-chirurgico vi è d’altra parte una quasi assoluta controindicazione al reintervento.
Tutti i nostri pazienti operati erano stati sottoposti a discectomia previa emilaminectomia ed in alcuni casi emiartrectomia.
La diagnosi è una “diagnosi di probabilità” e si basa su una serie di elementi clinici e radiologici (presenza di intervallo libero etc.)
A fronte di queste difficoltà, i casi a cui è seguita guarigione completa sono stati 90, con il 3% circa di insuccessi.
(Recidiva erniaria in L4/L5 in paziente operato tre anni prima di E.D L4/L5 e L5/S1 a) RM-prima dell’intervento 2 immagini assiali e 2 sagittali-ernia mediana/paramediana in L4/L5 e in L5/S1 sempre a Sn. foto –foto
In 2 di questi malati, uno con focolaio cicatriziale in L4/L5 e l’altro in L5/S1, erano trascorsi 3 anni dall’intervento.
Nell’ultimo caso di probabile recidiva in L5/S1 era trascorso un anno e mezzo circa.
In tutti i casi, 29 recidive di ernia discale (31%) e 64 da focolaio cicatriziale (65%) il dolore radicolare era una costante e così pure il deficit sensitivo.
Segni motori erano presenti in 31 casi, come espressione di una sofferenza radicolare cronicizzata, per lo più in S1 (14), L5 (9), L4 (6), L3 (2).
Del primo gruppo fanno parte 984 ernie discali primitive del tratto lombare.
Si tratta di pazienti studiati, con TC, RM o altre indagini strumentali, EMG, ENG, con quadro clinico di sciatalgia (sciatica) o cruralgia e “diagnosi di certezza” di radicolopatia da ernia discale.
Non vi sono pertanto inclusi tutti i casi di comune osservazione che ugualmente possono dare segni di sofferenza radicolare/degenerativa, ma non di natura erniaria.
Nella patologia erniaria l’indicazione chirurgica è certamente risolutiva nella maggior parte dei casi, ma non in tutti.
Infatti nei migliori centri di chirurgia vertebrale le recidive non sono comunque inferiori al 4% – 7%.
L’intervento, salvo nei casi caratterizzati da deficit motore grave, è per ovvii motivi riservato a quei malati nei quali il dolore persiste dopo un mese, un mese e mezzo, spesso anche due o più dall’inizio dei sintomi. Il nostro intervento, assolutamente non invasivo, non doloroso, senza anestesia di nessun tipo, senza alcun effetto collaterale immediato o postumo, si pone con l’ottica di condurre il malato ad una guarigione clinica, caratterizzata dalla scomparsa del dolore e dalla negativizzazione del quadro neurologico, in questo stesso lasso di tempo.
A guarigione avvenuta, solo l’assenza di un riflesso profondo segnalerà la pregressa sofferenza radicolare. I tempi di recupero delle funzioni sensitive e motorie radicolari (più lenti di quelli dei nervi periferici) sono in relazione con la gravità espressa clinicamente dall’ entità del deficit, cui corrisponde una diversa gravità delle lesioni anatomiche, alle quali sopra si accennava.
L’intervento è stata l’unica alternativa nei pazienti non andati a buon fine (59) pari al 6%, tra tutti i casi trattati (984). Se si escludono i malati (14) giunti alla nostra osservazione nell’immediatezza dello scoccare dei sintomi, perché da noi precedentemente curati per ernia di altro livello, in tutti gli altri casi si tratta di malati che visitiamo non prima di tre/quattro settimane dall’inizio della sintomatologia e che già hanno utilizzato tutta una serie di presidi medici (cortisonici e fans) e fisici del caso.
La causa degli insuccessi è sempre il persistere del dolore, tale da non assicurare al malato una soddisfacente qualità della vita, mentre in nessun caso abbiamo assistito ad un peggioramento del deficit neurologico.
Ne consegue che anche in questa categoria di malati con ernia:
Ad una suddivisione dei risultati utili, a seconda del livello interessato, le guarigioni sono risultate 396, pari al 96% in L5/S1, 343 pari al 92% in L4/L5, 139 pari al 95% in L3/L4, 47 pari al 93% in L2/L3. Si può notare come le ernie discali in L4/L5, si discostino negativamente nel risultato di circa il 4% da quelle in L5/S1 e rispettivamente del 3% e 2% da quelle in L3/L4 e L2/L3.
Crediamo che questo sia dovuto solo parzialmente alla relativa maggior mobilità del tratto in questione e in gran parte alla relativa maggior presenza in questo segmento, di ernie laterali (foraminali e extraforaminali), che su un totale di 78 su 984 (8%), interessano il livello L4/L5 in 49 casi, contribuendo, in modo determinante a venti dei trenta insuccessi.
Le tecnologie ripolarizzanti agiscono su due versanti, sull’infiammazione e sul deficit neurologico.
Sappiamo che una compressione meccanica anche forte, esercitata su una radice sana, ad esempio con una pinza chirurgica, non provoca in alcun modo dolore.
Viceversa una spiccata reazione dolorosa si ottiene anche con un minimo contatto e quindi effetto compressivo praticamente nullo, di una radice nervosa danneggiata da un prolasso erniario.
Questo indica una aumentata sensibilità della radice e suggerisce pertanto che debbano esservi, a seguito dell’insulto meccanico originario, importanti reazioni secondarie, responsabili di questa maggiore sensibilità.
L’esame istologico di queste radici nervose mostra frequentemente una iperplasia del perinevrio e la presenza di infiltrati cronici di cellule infiammatorie (Lindahl) e queste alterazioni sono state descritte anche nella stenosi spinale (Watanabe e Parke).
E’ stato da altri suggerito (Lipson e Muir – Silbert), dopo accurati studi istologici di dischi erniati di animali e dell’uomo, che la sindrome attribuita alla compressione, meglio si spiega come un processo degenerativo del disco con esito in una risposta riparativa di tipo proliferativo.
Sappiamo che l’evento compressivo costituisce il momento patogenetico che determina le manifestazioni sintomatologiche iniziali e che a un notevole effetto massa di una lesione corrisponde un’adeguata espressività clinica e sintomatologica.
Sappiamo anche che nelle radicolopatie da cause non progressive (ernie) avviene una riduzione delle capacità compressive dell’ernia per fenomeni di autolisi e di adattamento del circolo radicolare; tuttavia questo non spiega come grossolane e voluminose ernie del disco, per le quali il quadro clinico iniziale può essere di massima severità, possano successivamente decorrere, anche per il resto della vita senza mai dare recidive e senza deficit di alcun tipo.
E’ assai verosimile che l’effetto compressivo di un materiale divenuto “inerte”, nel quale pertanto si siano completati i meccanismi biochimici di riparazione tissutale, o che comunque abbia cessato di rappresentare motivo di una risposta immunitaria-infiammatoria, sia praticamente nullo.
Appare evidente che le recidive algiche, possibili solo in relazione a successive fuoriuscite di materiale dal nucleo polposo, sono minime o assenti se la lesione precedentemente trattata era voluminosa o massiva; viceversa sono più frequenti in presenza di piccole lesioni erniarie, soprattutto se associate a quelle condizioni, come le stenosi del canale vertebrale, nelle quali si realizzano meccanismi infiammatori di tipo cronico.